Accabadora

accabadora
Premessa: l’iPad si è dimostrato prezioso come compagno di una settimana di forzata semi-inattività. Mi ha permesso di leggere quattro libri e vedere diversi film ed episodi tv, il tutto con una portabilità che nessun computer portatile concede.
Detto questo, uno dei libri che ho letto, di certo il più bello, è stato Accabadora di Michela Murgia (Einaudi). Ricordando sempre che “qui non si fanno recensioni” (non è il mio mestiere), mi ha affascinato e catturato dalla prima all’ultima pagina. Personaggi vivi e credibili, l’atmosfera di un paesino della Sardegna contadina degli anni ’50 resa alla perfezione; una storia che, per avere la morte protagonista per gran parte del suo svolgersi, è straordinariamente pulsante di vita e passione.
Maria è l’ultima figlia di una vedova povera che l’affida a un’anziana sarta del paese, vedova anche lei e benestante, tzia Bonaria. Tra le due s’instaura un rapporto profondo che si spezza solo quando Maria scopre che la donna che l’ha cresciuta è una
accabadora, colei che, richiesta dai familiari, pone fine alle sofferenze dei moribondi che non riescono a morire da soli.
Può essere che le mie impressioni siano state un po’ influenzate da quel po’ di sardità che è in me (giusto un’infarinatura da parte di madre e per di più casteddaia; e ho avuto per anni uno sgabello di ferula con i cavicchi che pungevano il sedere!) ma il romanzo di Michela Murgia è davvero bellissimo.
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